Sappiamo tutti quanto possa essere seccante e problematico rimanere senza connessione Internet a causa di un guasto o un temporaneo malfunzionamento.
Quello che ben pochi sanno, invece, è che ci sono ISP e operatori che hanno cura di indicare nei loro contratti il cosiddetto “uptime”, ovvero la percentuale di tempo per cui, rispetto alle ore da cui è composto un anno, il proprio servizio è garantito.
L’uptime nei contratti di fornitura Internet
Solitamente, l’uptime viene riportato indicando anche i numeri decimali e in una percentuale quasi mai inferiore al 99,00%. A fare la differenza tra un buon uptime e un uptime mediocre è, quindi, ciò che è scritto dopo la virgola, ovvero quel “minuscolo” – ma in realtà importantissimo! – valore compreso tra 0,01% e 0,99%.
Come viene calcolato l’uptime e “quanto pesa”
Quella che potrebbe sembrare solo un’infinitesimale porzione di tempo è, in realtà, estremamente importante. E per rendersene conto basta fare un rapidissimo calcolo: premesso che in un anno ci sono 8.760 ore, se il proprio fornitore di connettività dichiara un uptime del 99,00% significa che all’appello mancano più di 88 ore, pari a 10 giornate lavorative da 8 ore ciascuna!
Allo stesso modo, se un Internet Service Provider dichiara un uptime del 99,99%, il downtime sarà di circa 9 ore l’anno, ovvero una singola giornata lavorativa.
Quanto conta la percentuale di uptime per un’azienda?
Nasce, a questo punto, un’ovvia domanda: quante aziende possono permettersi di rimanere senza Internet per 10 giorni? E quante per un giorno soltanto?
Attenzione, quindi, al valore di uptime riportato nei contratti e nelle offerte commerciali. In questi casi, infatti, i numeri decimali contano eccome!